L'estrazione della sabbia
Sotto la variabile superficie delle torbe e argille che formano una crosta spessa dove poche decine di centimetri, sul lato marino, dove alcuni metri, sul lato collinare del lago, comincia uno strato di sabbia silicea, accumulatosi nel corso delle ere geologiche: un vasto giacimento sedimentario di origine marina inizialmente, nello strato superiore, a grana grossa mista a residui e frammenti vegetali e animali che si decanta all'aumentare della profondità fino a farsi sabbia finissima di elevata qualità.
Nell’agosto 1927, cessata definitivamente l’attività di estrazione della torba dai terreni palustri del lago di Massaciuccoli, una delle società già costituenti le “Torbiere d’Italia”, la SIAM, (Società Industrie Agricole Minerarie) continuò la propria attività volgendo apparati e risorse umane allo sfruttamento di questo giacimento di sabbia, peraltro già oggetto di locali escavazioni attive fin dai tempi passati, segnando di fatto l’inizio di una nuova attività a livello industriale.
Chiatta in attesa del barcone da caricare con la sabbia
Fino a confluire nella società SISA (Sabbie Industriali Società Anonima) costituita nel 1936 nel progetto di un ampliamento dell’uso delle sabbie: da semplice materiale fino a quel momento usato prevalentemente nel taglio del marmo a elemento ora utilizzabile nelle nuove leghe, in prodotti a base di sabbia e cemento, e in altre combinazioni che la nascente società industriale ampliava e permetteva. L’attività si mostrò subito ben redditizia tanto che le cave di sabbia intorno agli anni 80 erano una trentina. «Il bacino del Massaciuccoli, visto dall’alto, sembrava un gruviera con buchi che si allargavano sempre di più, oltre a formarsene di nuovi» scrive Pier Luigi Bianchi nel suo Dal Palude alla Sombora, PixartPrinting, Venezia, 2018, libro imprescindibile per chi vuole conoscere fatti e misfatti avvenuti alla luce del sole e all’ombra di questo prezioso contesto ambientale.
Di quelle attività rimangono numerose testimonianze, sparse nel lago, oltre a un’enorme cava, denominata cava Sisa appunto, posta proprio a ridosso del piazzale delle torbiere, a Torre del Lago. Altre aree di dragaggio vennero attivate poi nella zona nord-ovest del terreno palustre: la cava di San Rocchino e la cava Incrociata. Altre ancora venivano aperte nella zona a nord del lago, effettuate in tempi diversi e da diverse ditte, delle quali ora rimangono profondi specchi d’acqua.
Rimorchiatore trascina un barcone carico di sabbia
I primi metodi di estrazione della sabbia venivano fatti usando il 'vangone', primo mezzo meccanico adoperato in tale attività estrattiva: un attrezzo di facile uso, governabile a mano e facilmente installabile su di un barcone o sulla terraferma, a seconda della localizzazione della cava, azionato da tre uomini, così come ce ne descrive l’uso Domenico Pandolfi in La sabbia silicea della bassa Versilia e i suoi impieghi, editore Carrara, 1975. «Immerso il vangone (telaio di ferro col sacco di tela) nel giacimento di sabbia, mentre l’operaio alla pertica provvedeva a farle assumere l’inclinazione necessaria, facendo fulcro su un punto di appoggio fisso a terra o sul barchetto gli altri due azionavano il verricello sul cui tamburo si avvolgeva lentamente il cavo di acciaio che trascinava prima e sollevava dopo il vangone pieno di sabbia».
Tubazioni su pontone galleggiante per il trasferimento della sabbia
Agli inizi del 1900 il 'vangone' viene sostituito da scavatrici meccaniche e successivamente da pompe centrifughe azionate da turbine a vapore sistemate su chiatte; fabbrica questa che il successivo e crescente uso di motori diesel ed elettrici rendeva sempre più potente e produttiva. Rimosso il cappello di torba e argille attraverso un’operazione detta localmente 'sbancacciata' - poi trasportato per mezzo di una draga o di tubazioni a un sito di scarico, generalmente un giacimento di sabbia sfruttato precedentemente e ormai esaurito - si comincia l’aspirazione della sabbia attraverso un tubo del diametro di 200 mm che poteva scendere fino a 15 - 20 metri di profondità.
La sabbia portata in superficie, se la cava si trovava distante dal posto di deposito, veniva caricata su barconi, che trainati da rimorchiatori la trasportavano nel luogo di raccolta e stoccaggio. Se invece la distanza della cava dal luogo di raccolta era modesta venivano utilizzate tubature all’occorrenza stese sulla superficie del lago attraverso pontoni galleggianti. Raggiunta dunque terra la sabbia veniva indirizzata e raccolta sul piazzale dello stabilimento di lavorazione, da dove era trasferita a vasche di cemento per la decantazione; una volta lavata subiva un ulteriore processo di separazione dalle sostanze estranee, per essere infine selezionata alla definitiva destinazione.
Rimorchiatori, chiatte, bettoline, barconi, addetti al carico e scarico della sabbia
Tale attività di estrazione è definitivamente cessata agli inizi degli anni Novanta lasciando segni indelebili nel paesaggio: numerose sono le cave, sia all’interno dell’area palustre sia nei terreni contigui, che ancora oggi testimoniano quell’attività. In particolar modo nella sequenza di vasti e profondi specchi d’acqua che oggi rimangono a nord del lago, adiacenti al fosso del Brentino, poi utilizzati dai primi anni Novanta fino al 2007 quali discariche per i fanghi prodotti dalla lavorazione marmorea-lapidea.
Da "Il lago di Massaciuccoli e le terre umide", testi di Arturo Lini, fotografie di Amerigo Pelosini, Caleidoscopio editore, Massarosa (LU), 2008. Vietata ogni riproduzione, distribuzione o altro uso dell'intero testo o sue parti, salvo il diritto di citazione. Le foto d'epoca sono tratte da "Dal padule alla Sombora" PixartPrinting, Venezia, 2008, di Pier Luigi Bianchi