Parco Archeologico-Naturalistico Buca delle Fate

Per cominciare questo viaggio andremo lontani lontani nel tempo e in un altro luogo, diverso da Piano di Mommio. In una sala del museo archeologico Alberto Carlo Blanc, in palazzo Paolina a Viareggio, davanti a un’urna in vetro dove ora giacciono i resti di quelli che furono due esseri umani: un uomo e una donna qui ricomposti com’erano nell’originaria sepoltura, avvenuta nell’età del rame, quando già si praticava il culto dei defunti in luoghi a essi riservati, accompagnandolo da un corredo funerario: vasetti in ceramica, oppure oggetti in osso e pietra e altri ornamenti a volte in rame.


Con i loro crani posati nella sabbia e disposti all’incontrario, i volti girati verso il suolo, l’uno accanto all’altro, nell’identica posizione in cui apparvero in una cavernetta sepolcrale posta a circa ottanta metri sul livello del mare, nella Buca delle Fate Nord, tra le colline di Piano di Mommio, dove giacevano in una rientranza della grotta, accanto a un vaso e ad altre ossa umane, secondo una deposizione e un rituale così lontano nel tempo e difficile oggi da comprendere e spiegare.

Perché è qui a Piano di Mommio, in una località chiamata Fondineto nella vallecola del Ritomboli estesa tra il paese e il sovrastante Mommio Castello che sono apparse queste importanti testimonianze del nostro primitivo passato, durante scavi effettuati a partire dagli anni Sessanta a cura dell’Istituto di antropologia e paleontologia dell’università di Pisa e del Gruppo di ricerche preistoriche e archeologiche Alberto Carlo Blanc di Viareggio.

In grotticelle giusto caratterizzate dall’esser state riparo e rifugio a questi nostri antenati comparsi in questo lembo di Versilia circa 40.000 anni fa e situate a circa 85 metri sul livello del mare, ricche di reperti e pietre lavorate risalenti a diverse età della preistoria, i cui nomi compaiono in qualsiasi manuale o testo di paleoetnologia: Grotta del Capriolo, Buca della Iena, Grotta del Cavallo, con i loro manufatti litici, nuclei, schegge, ascrivibili al periodo più antico nella storia dell’evoluzione umana.

E ancora la Grotta di Fondineto, Buca delle Fate nord e Buca delle Fate Sud, con i loro materiali assegnabili all’Età del Rame, quando già queste cavità della terra venivano usate anche come luogo di sepoltura, come documentano i ritrovamenti di resti di scheletri umani e tracce di corredi funebri, ora conservati in un’urna in vetro nel museo archeologico Alberto Carlo Blanc, in palazzo Paolina a Viareggio


I primi nuclei umani di cui il nostro territorio conserva traccia risalgono al Paleolitico medio, periodo durante il quale si diffonde in tutta la penisola l’uomo di Neanderthal. Nelle nostre zone questi nostri progenitori dovevano avere la loro dimora nella pianura costiera, tra boschi e acquitrini, spostandosi poi nelle grotte più a monte in determinati e particolari periodi stagionali, per motivi legati alla caccia degli animali o per la fabbricazione di strumenti e arnesi per praticarla, ma anche usando parti di questi anfratti come deposito dei mammiferi cacciati.

La fabbricazione di questi oggetti caratterizza anche il Paleolitico superiore, quando all’uomo di Neanderthal succede una nuova forma umana assai simile all’uomo moderno, l’Homo Sapiens. Di testimonianze umane riconducibili a questo periodo abbiamo notizia dal rinvenimento di reperti trovati, oltre nelle già citate grotte, anche in un’altra zona del comune di Massarosa, intorno al lago di Massaciuccoli, da cui regolarmente le idrovore ci hanno restituito qualcosa di quei tempi: punte, pietre lavorate, ossa, resti di ceramiche, fino a una piccola scultura, ricavata da un ciottolo di steatite, che accenna una figura femminile.

Nel Neolitico, il cui inizio è indicato circa 10.000 anni fa e in cui si affina l’uso della levigatura degli strumenti litici, cominciano a essere praticate forme di agricoltura e di domesticazione degli animali, segno di un passaggio da un’economia centrata sulla caccia a una nella quale sono già presenti forme di scambio, e quindi commerciali, di oggetti e materie prime.

Di questo periodo rimangono alcuni oggetti in ceramica rinvenuti nella Grotta all’Onda e nell’insediamento di Candalla, presso Camaiore, oltre ad altri provenienti dalle cave di sabbia di Massaciuccoli.
Della frequentazione delle nostre zone nella successiva età dei metalli già abbiamo trattato illustrando gli importanti reperti venuti alla luce nelle grotticelle intorno Piano di Mommio, quali le due sepolture ora ricomposte e conservate nell’urna in vetro presso il museo Blanc di Viareggio. A questi si aggiungono materiali, in ceramica e metallo, provenienti in gran parte da alcuni siti, localizzati sempre a Candalla vicino Camaiore, alcuni dei quali fungevano da veri e propri magazzini di oggetti in bronzo.

Così affiorando ora da questo scorrere di tempi ed epoche, e tornando proprio davanti a quelle grotte prima descritte, cerchiamo di immaginare cosa mai avranno visto e guardato, uscendo da quegli anfratti, i nostri lontani predecessori. Quali segni di un pericolo o di una preda avranno cercato nella fitta boscaglia. Quale mattino o tramonto si sarà fermato nei loro occhi, e tra quali sensazioni e attese il giorno e la notte venivano e trascorrevano.


Ora, sul lato di una collina di fronte a noi, tra i rami degli alberi che fitti intorno crescono, si alza l’ampia sagoma di villa Pistoresi “Le Terrazze”, ocra incorniciato di verde, qui costruita nel XVIII secolo dalla famiglia Orsucci di Lucca come casino di caccia. Fu ristrutturata in seguito dagli stessi Orsucci e completamente adibita a villa residenziale. La proprietà passò poi nel XIX secolo ai Borbone-Parma, quindi ai Pozzo di Borgo, e ancora ai Ghivizzani nel corso del Novecento. Oggi la villa appartiene alla famiglia Pistoresi.
Davanti alla villa un ampio parco, costituito di olivi secolari e pini, s’allunga su quattro terrazze tra loro collegate da gradini di cotto o di pietra grigia e da scale decorate con motivi geometrici. Cinge tutta la parte anteriore del giardino una fila di cipressi che corre ai suoi bordi, quasi a nascondere o proteggere la preziosa dimora.

Riprendiamo il breve sentiero di ritorno, a tratti scosceso a tratti interrotto dall’esuberante vegetazione, fino alla strada da cui siamo venuti: una ripida erta che conduce, continuandola per alcune centinaia di metri, in prossimità di Mommio Castello, a cui poi lo collega un sentiero, a gradinate di cemento che salgono fino alle prime case del borgo.
Il luogo gode oggi di un percorso di visita attrezzato e corredato da pannelli informativi sulle singole grotte e la misteriosa vita che in quelle si svolse. L’area è stata infatti inaugurata il 28 settembre 2013 con il nome di Parco Archeologico-Naturalistico Buca delle Fate e rappresenta un’attrazione, culturale e turistica, tra le più interessanti della Toscana settentrionale.