La coltivazione del riso

«In vicinanza delle risaje Minutoli sulle gronde del lago di Massaciuccoli e in prossimità della Piaggetta, sorse ben tosto un vasto ed elevato casamento, distribuito in modo, che nel suo genere, può dirsi contenere un opificio modello. Il quale opificio, unito a tutt’altri lavori inerenti alle risaje, al vecchio frantojo e frullino da olio, costò al proprietario non meno di scudi quarantamila!!»
Tommaso Ghilarducci, Considerazioni intorno alla proscrizione delle risaie nel Lucchese, Lucca, tipografia Giusti, 1848.

La coltura del riso ha un posto preminente nella memoria collettiva delle popolazioni del lago. La sua coltivazione offriva, nella sua complessa procedura bisognosa di un ampio impiego di manodopera femminile – le famose mondine o mondariso – una ricettiva industria e sostentamento per le genti delle frazioni intorno al lago. Il lavoro femminile è sempre stato ampiamente utilizzato nelle zone palustri perfettamente sposandosi a particolari lavorazioni, quali il rivestimento di vetri e altri recipienti con erbe palustri, lavoro che generalmente si svolgeva presso il proprio domicilio. Ma anche in diversi settori dell'agricoltura, nel processo di lavorazione della torba, nella lavorazione dei cannicci, delle canne palustri, nella preparazione di stuoie.

Nelle risaie del lago c'erano molte donne che venivano dai paesi intorno: Quiesa, Bozzano, Massarosa, Stiava, Bargecchia, Corsanico. Il lavoro, a dorso sempre piegato sotto il sole rovente nell’acqua imputridita dai concimi industriali, doveva iniziare un’ora dopo il levare del sole, terminando un’ora prima del tramonto, questo orario risiedeva nella convinzione, allora comune, che a provocare le febbri malariche fossero i miasmi della risaia, più consistenti nelle ore crepuscolari. Con gli anni Cinquanta del secolo scorso, nel volgere dei tempi e l'affermazione sul nostro territorio di industrie, quale quella calzaturiera, che trovava nella mano d'opera femminile il principale impiego e supporto, vengono progressivamente abbandonati buona parte di quei mestieri legati principalmente alle occupazioni del mondo contadino, ora non più redditizie e competitive, non solo in termini economici, con quelle proposte dal giovane mondo industriale.

 


  Massarosa - risaie, ruota per la regimentazione delle acque, inizi del XX secolo c.

Dopo l'iniziale introduzione nelle campagne massarosesi avvenuta nel XVII secolo la coltivazione del riso è ben presto stata associata nel nostro territorio alla diffusione e allo sviluppo della malaria, generando iniziali paure poi trasformatesi in più ampi osteggiamenti che avevano convinto il Consiglio Generale della Repubblica di Lucca nell'adunanza dell'11 maggio 1612 «atteso il grave danno che resultava alla vita delli huomini circonvicini alle risaie» a fare proprie istanze e richieste provenienti dai comuni intorno a Quiesa che si concretizzavano nella proibizione in perpetuo di praticarne la coltura «in luogo alcuno dello Stato nostro» sotto pena di scudi 25 ai contadini che le lavorassero e di 200 ai cittadini che le facessero lavorare.

Nella parte a sud del comprensorio lacustre, in territorio pisano e dunque sotto una diversa legislazione, invero abbiamo notizia nella prima metà del 1600 della piantagione di una risaia in un terreno poi concesso dai Medici all'olandese Van der Stratten, e successivamente rinominata Cascina del Capannone per la presenza di tale edificio adibito alla lavorazione del riso. Anche se in seguito si descrive quello stesso capannone trasformato in stalla e fienile, testimonianza questa del naufragare del tentativo dell'olandese. La coltivazione del riso, in questa zona, venne in tempi successivi reintrodotta ma presto abbandonata per la modesta rendita se confrontata alla difficoltà di reperire e sostenere la manodopera necessaria.


 Massarosa - Mondine in una pausa di lavoro

Verso la metà del XIX secolo, precisamente nel 1839, Carlo Ludovico duca di Lucca tornando sulla questione e indirizzandosi in segno opposto a una precedente delibera del 1822, promulgata dalla madre Maria Luisa di Borbone che ancora tornava a sancire la proibizione della coltura del riso, concesse alcune prime autorizzazioni a imprenditori e proprietari terrieri interessati alla sua coltivazione, tra i quali fu capofila il marchese Sampieri di Bologna. Nell’anno successivo è il conte Carlo Minutoli-Tegrimi ad ottenere la licenza di coltivazione: atto che segna la nascita, di lì a qualche anno, una volta sperimentata la fecondità di quelle coltivazioni, di uno stabilimento adatto alla pilatura e immagazzinamento del riso, la cui realizzazione fu affidata dal Minutoli all’ingegnere Scarabelli di Bologna e progettata sulle rovine di una precedente costruzione a fianco del canale di Quiesa: la Brilla: «In vicinanza delle risaje Minutoli sulle gronde del lago di Massaciuccoli e in prossimità della Piaggetta, sorse ben tosto un vasto ed elevato casamento, distribuito in modo, che nel suo genere, può dirsi contenere un opificio modello. Il quale opificio, unito a tutt’altri lavori inerenti alle risaje, al vecchio frantojo e frullino da olio, costò al proprietario non meno di scudi quarantamila!» scrive Tommaso Ghilarducci nel suo Considerazioni intorno alla proscrizione delle risaie nel Lucchese, stampato in Lucca presso la tipografia Giusti nel 1848. A queste prime concessioni ne seguirono altre nel corso degli anni, sempre corredate di feroci dispute e contrarietà che sempre accompagneranno queste decisioni e che si alimentavano dell’aumento dei casi di malaria, quando questi si verificavano, che rimetteranno in gioco quelle decisioni, a volte volgendole in senso contrario.


  Massarosa - Festa delle mondine

Nella campagna a nord del lago, intorno all'abitato di Stiava, i casi di malattia aumentarono nel giro di pochi anni: «Nella deliziosa vallecola di Stiava, soggiungeva il dottor Giannini, gli attacchi da febbri intermittenti dal mese di marzo al mese di luglio 1843, sono stati circa 130, fra i quali molti ricaduti sei sette volte. E prima delle Risaje non si ammalavano che sei, otto individui in tutto l'anno fra i molti che frequentavano il padule», scrive Emanuele Repetti nel suo Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, e pubblicato a fascicoli tra il 1833 e il 1846, riportando il sunto di una relazione del dottor Michele Giannini di Viareggio indirizzata al marchese Antonio Mazzarosa, presidente di una Commissione sulle Risaje, organo di sorveglianza istituito nell'aprile 1840 per volere del duca Carlo Ludovico di Borbone al fine di valutare gli effetti delle risaie sulla salute della popolazione nel territorio massarosese.

Pure queste richieste non sortirono l'effetto di ripristinare il precedente divieto, anche per l’esistenza invero di voci contrarie, che dissociavano, se non negavano, l’aumento dei casi di malaria dall’introduzione delle risaie. Solo nella campagna di Montramito, nelle gronde che si allungano verso Viareggio, a seguito di una infinita controversia sui pericoli di allagamento dovuti alla ridistribuzione delle acque dello Stiavola e Selice, attuata dalla società Sampieri Massei intorno e a favore delle proprie risaie, si giunse nel 1843 ad una prima proibizione di tale coltivazione, anche in virtù di una nuova riconsiderazione della perniciosità di tale coltura promulgata dalla Unione degli Scienziati italiani riunitisi quello stesso anno a Lucca, conclusioni che portarono alla condanna delle risaie perché coltura nociva e pericolosa per l’ambiente. «Per buona sorte dell'umanità e per poca sorte di avidi speculatori dal 1843 in poi - scrive nel già citato testo il Repetti - a Montramito sono ritornate a crescere naturalmente la Sala, la Spazzola di padule, e più comunemente il Giunco da stoje, le quali piante servono non solo di foraggio, ma accoppiate ad altri falaschi dei paduli costituiscono il letto delle stalle coloniche, sicché macerate forniscono una specie d’ingrasso a quell’umida pianura, mentre nei luoghi resi meno palustri mediante le fosse di scolo si seminano e vi fertilizzano piante leguminacee e granoturco»


Silvana Mangano nel film Riso amaro, del 1949, dedicato al lavoro delle mondine

Ma i tanti interessi economici, le diverse signorie che si alternarono nel governo della nostra comunità e in questo delle risaie massarosesi, seguite alla Restaurazione degli antichi principati in Toscana dopo la sconfitta di Napoleone, dettero vita a provvedimenti vari e quantomai contraddittori circa la coltivazione del riso. Così il tramontare e il sorgere di nuovi governi, le paure i timori delle popolazioni, i diversi e contrastanti pronunciamenti del mondo scientifico, prendevano di volta in volta vita nelle delibere legislative: divieti e permessi che uno a poca distanza di tempo dall’altro si susseguivano, quando per concedere nuove autorizzazioni, quando per chiuderne altre, quando per ridimensionarne alcune. Su di un solo aspetto sembrava esserci una generale convergenza: che si potesse autorizzare la coltivazione del riso in terreni paludosi o acquitrinosi, mentre doveva vietarsi in terreni asciutti, adatti anche a coltivazioni diverse. 

Nel 1846 Carlo Ludovico revoca la precedente autorizzazione a favore delle risaie di fatto proibendone di nuovo la coltivazione, almeno fino al 1847 quando il Ducato fu inglobato nel Granducato di Toscana seguendo in questo il succedersi di nuove alterne regolamentazioni. Nel 1860 un nuovo regolamento a firma del presidente del consiglio dei ministri del Governo Provvisorio Toscano Bettino Ricasoli, stabilisce: «Rimangono nel pieno loro vigore le Leggi sulle risaie de' 5 aprile 1842 e del primo settembre 1849. Rimane altresì in vigore il Regolamento sulle risaie del primo settembre 1849, salvo che in quelle parti le quali siano state derogate dal presente Decreto da referirsi ed applicarsi soltanto e per eccezione al Palude o Lago di Massaciuccoli». Infine con il regio decreto n. 2967 del 1866 «Legge che permette la coltivazione del riso alle distanze dagli aggregati di abitazione e sotto le condizioni previste da Regolamenti speciali» si applicarono anche alle nostre risaie le regole vigenti nel resto dell’Italia: distanze, dimensioni, orari di lavoro, requisiti necessari alla coltivazione del riso vengono finalmente stabiliti e fissati.


  Massarosa - Foto ricordo alla ruota idraulica

Nel 1870 l’appena sorto Comune di Massarosa permette la trasformazione di terreni asciutti in risaia, a cui subito fa eco i reclami della popolazione di Viareggio timorosa della vicinanza di alcune risaie poste nei terreni di Stiava; reclami che si concretizzeranno nel 1879 nella proibizione della coltivazione di riso in questi terreni. Ma pur venendo a volte sospesa o vietata per brevi periodi, a volte ammessa solo in particolari limitate zone, sempre oggetto di studio e delibere di diverse commissioni via via incaricate di valutarne effetti e convenienze, la coltivazione del riso nelle nostre zone prese infine un definitivo impulso nella seconda metà del XIX secolo, favorita prima dall'annessione al Granducato di Toscana e poi, più decisamente, da quella al Regno d'Italia. Coltivazione che raggiunse il suo apice negli anni venti e trenta del secolo scorso, sia attorno al lago di Massaciuccoli che nelle vicine paludi di Bièntina, diventando oggetto di commercio anche oltre i confini nazionali.

Il riso che si coltivava era il cinese, qualità proveniente dall'Oriente che meglio si adattava, in termini di resistenza e resa finale, al clima e alla conformazione di queste zone. La coltivazione del riso presupponeva la creazione di un ambiente artificiale dove il terreno sia in leggera pendenza e privo di accidentalità in modo che l'acqua potesse occuparlo in modo uniforme, diviso in 'camere' o 'quadri', cioè campi della superficie che varia tra 1000 e 10.000 metri quadrati delimitati da piccoli fossi utili alla distribuzione dell’acqua e al passaggio dei contadini, e da modesti argini trasversali e longitudinali che formano e delimitano scompartimenti e 'aiuole'. L'intero processo iniziava con la preparazione dei 'quadri' che venivano vangati e concimati; poi si sistemavano gli argini intorno quelli e i solchi. La semina veniva effettuata a primavera, generalmente nel mese di aprile: dopo aver preparato il terreno con il concime questo veniva ricoperto d’acqua, elemento che garantiva una temperatura costante di 20-22 gradi. A questo scopo si usava una specie di ruota idraulica, simile nel funzionamento a una ruota di mulino, mossa dal peso di 2 o 3 persone.


 
Mondatura delle piantine di riso

A giugno avveniva la mondatura che consisteva nell'estirpazione delle erbacce che ne ostacolavano la crescita. Successivamente venivano svuotati dell'acqua i campi per permettere, nei successivi mesi di settembre e ottobre, lo sradicamento delle piantine. Una volta essiccate sono portate nelle aie, battute, per separare il chicco dalla pianta, quindi trasportato alla pileria per le necessarie operazioni che consistevano nella pulitura, sbiancatura e brillatura e, finalmente, si aveva il prodotto finale pronto per la commercializzazione. Questa coltura è definitivamente tramontata negli anni Cinquanta del secolo scorso principalmente per il crescente costo di un prodotto la cui coltivazione richiedeva un alto numero di manodopera, sempre più difficile da reperire e sostenere, viste le concomitanti possibilità e attività lavorative, anche industriali, che si andavano affermando nel territorio.

Da "Il lago di Massaciuccoli e le terre umide", testi di Arturo Lini, fotografie di Amerigo Pelosini, Caleidoscopio editore, Massarosa (LU), 2008. Vietata ogni riproduzione, distribuzione o altro uso dell'intero testo o sue parti, salvo il diritto di citazione.