Il mattonaio

Un'altra attività sorta sullo sfruttamento del suolo e apparsa nel comprensorio del lago nella seconda metà del XIX secolo è stata quella del mattonaio, similmente a quanto è avvenuto in Toscana dove la sua presenza è documentata fin dal 1870, per rimanere attiva fino alla metà del secolo successivo. Occupazione stagionale che iniziava in primavera per concludersi all'inizio dell'autunno, in un gravoso impegno giornaliero che andava dalle prime luci dell'alba fino alla sera. Le caratteristiche del suo lavoro ricalcavano quelle dell'operaio di quegli anni: lavoro a cottimo, per una paga minima; 16 ore di impegno giornaliero per un lavoro che a volte bisognava inseguire, su e giù in particolar modo nell'Italia del Nord e al quale spesso partecipava l'intera famiglia: una piccola catena di montaggio familiare dove anche i ragazzi avevano ruolo e compiti.

La mota argillosa, una volta estratta dal terreno, veniva impastata con acqua, per essere successivamente ricoperta con un telo che ne impediva una rapida essiccazione. L'impasto ottenuto veniva portato su appositi banchi in legno, ricoperti di un sottile strato di sabbia, dove a una prima modellatura manuale ne seguiva la posa negli stampi. Da questi usciva poi il mattone nella sua forma finale, lasciato quindi a essiccare per circa dieci giorni in lunghe file alzate sotto un riparo che le proteggesse da eventuali piogge, e sovrapposte a lisca di pesce per permettere una migliore aerazione. Insieme a questa procedura ora descritta, che possiamo definire di base, esistevano poi anche altri tipi di mattoni, come le tegole, le tavelle, le cornici o i mattoni sagomati, che richiedevano lavorazioni più complesse, basate su manualità più professionali.


Massarosa, il Fornacione, durante il periodo della piena attività

Intorno al lago sorsero anche alcune fornaci. In area massarosese è ancora ben visibile la fornace di Massarosa, il Fornacione, a lato della strada Sarzanese-Valdera. Ormai irreparabilmente danneggiata dal tempo, assai più che da un bombardamento subito durante la seconda grande guerra. Costruita agli inizi del Novecento ha cessato ogni attività intorno al 1980. Produceva diversi tipi di laterizi disponendo di un forno che permetteva una produzione costante per tutta la stagione lavorativa, generalmente da marzo a novembre. Una volta cessata l’attività ha lasciato nei terreni intorno diversi e ridotti specchi d’acqua, delle “bozze”, stagni profondi circa 6 – 8 metri formatisi dall’estrazione dell’argilla necessaria alla fabbricazione dei laterizi. 

Bozze o stagni che andavano a erodere terreni agricoli e in questo il naturale assetto del luogo e il suo equilibrio idrogeologico, trasformandolo in un luogo paludoso, perdipiù in prossimità di abitazioni. Motivo questo di una continua controversia con gli abitanti delle aree confinanti, ai quali l’azienda poi propose l’acquisto dei loro terreni, invito al quale molti aderirono più che per motivi economici per la paura di veder sprofondare, un non lontano domani, case e terreni. Ma di questi aspetti e vicende legate allo sfruttamento del suolo e dell’ambiente palustre da parte dell’uomo rimando, come già detto in altre righe, al più dettagliato Dal Padule alla Sombora di Pier Luigi Bianchi, edito per la Pixart printing, Venezia, 2018.


Massarosa, il Fornacione nel suo attuale stato di abbandono

Nel 1953 il consorzio di bonifica, con sede a Viareggio, aveva intimato alla Società Fornaci Laterizi di Massarosa, proprietaria dello stabilimento, di «sospendere i lavori di escavazione di terre in Massarosa» che questa società, avendo da circa un anno esaurito la proprie cave di argilla, aveva intrapreso in alcuni terreni precedentemente acquistati e situati entro il perimetro di bonifica. Quella intimazione, pur legittima visti i regolamenti che proibivano in quel territorio qualunque apertura di cave, fu in seguito ritirata in considerazione delle garanzie fornite dalla società sui modi di escavazione, e anche del fermento prodotto negli operai, circa sessanta, che temevano una possibile chiusura della fabbrica.

Da "Il lago di Massaciuccoli e le terre umide", testi di Arturo Lini, fotografie di Amerigo Pelosini, Caleidoscopio editore, Massarosa (LU), 2008. Vietata ogni riproduzione, distribuzione o altro uso dell'intero testo o sue parti, salvo il diritto di citazione.