Il barrocciaio

« Su i gravi carri lungo le vie chiare / passa il falasco // Sono si vasti i cumoli spioventi / che il timone soperchiano dinnanzi / e il giogo cèlano e le corna e i lenti / corpi dei manzi, // onde sembran di lungi per sé mossi / e tra la polve aspetto hanno di strani / animali dai lanosi dossi, / dai ventri immani. // In fila vanno verso Pietrasanta, / strame ai presepi, ai campi ingrasso. / L'un carrettiere vócia e l'altro canta / a passo a passo
Gabriele D'Annunzio, il Commiato, da Alcyone 1903

Il barrocciaio era una figura caratteristica dell'epoca nella quale stiamo viaggiando: piccolo padroncino la cui azienda era spesso fatta di un solo animale e di un carro sul quale portava ogni genere di cose e materiali. Il barroccio è un carro composto di un piano al quale sono fissate due sponde laterali, sistemato sulla sala a cui s'attaccano le due grandi ruote rinforzate dai cerchi di ferro. Era sempre frutto di un'opera artigianale, un'opera unica che il carradore, o carraio, impiegando legni adatti e resistenti, costruiva modellandolo alle future esigenze di trasporto. Lo si attaccava a una coppia di buoi o di cavalli – ma ho visto anche una foto di un somaro e di un bue affiancati – ai quali veniva messo un grosso collare, il giogo, che permetteva di trasportare i pesanti carichi.

Alla stazione di Viareggio fino a poco tempo fa si potevano vedere nella sala di ingresso, e oggi sostituite da due copie serigrafiche, due tele di grandi dimensioni opera di Lorenzo Viani, commissionate nella prima metà degli anni Trenta dalle Ferrovie dello Stato, e ora concesse in comodato d’uso al comune di Viareggio ed esposte nella pinacoteca di palazzo Paolina. Una di queste due opere, dal titolo Lavoratori del marmo in Versilia, presenta in primo piano proprio una coppia di buoi, fermi e solenni come due entità capaci di trasportare, nella serena potenza che li abita, il cuore della montagna disegnata alle loro spalle. Uno dei due animali è montato da un uomo, che si immagina il barrocciaio, mentre al fianco dell'altro posa una donna, con una piccola cesta in vimini disposta sulla testa, che stringe al petto un neonato. Questo quadro mi sembra esprimere un indiretto omaggio al lavoro e al sacrificio non solo umano, tema spesso presente nelle opere del pittore viareggino, ma anche a quello dei due animali posti al centro del dipinto, a loro volta simboli dell'intera loro razza.


Viareggio, primi decenni XX secolo. Recipienti e bottiglie di acqua fresca dalle fontane di Stiava

Nelle bianche strade della bonifica massarosese, lungo i sentieri che dal lago s'inoltravano alla campagna, passavano indubbiamente carichi meno impegnativi di quelli rappresentati dai blocchi di marmo, ma non minor sacrificio. Carichi di fieno che raggiungevano anche altezze di tre, quattro metri; oppure altri prodotti agricoli avviati verso qualche mercato; forse portando torba o argilla alle locali fabbriche per la lavorazione, o da queste tornando con i prodotti finali avviati alla commercializzazione. Ma anche generi alimentari, o di altra specie, come era abituale veder transitare per le strade di Stiava, quando i carri giornalmente partivano verso Viareggio carichi di recipienti e bottiglie d'acqua, almeno fino ai primi decenni del XX secolo quando i primi acquedotti partirono da Piano di Conca e da Stiava verso quella cittadina. Ritornavano poi con i sacchi pieni di lenzuola e biancheria da lavare, diretti verso la sorgente delle Tre Fontane, dove era un pubblico lavatoio, la Gora, attivo fino agli anni Sessanta del secolo scorso. Mete che alcuni di questi animali – si raccontava – sapevano trovare da soli, mentre il barrocciaio poteva approfittarne per un riposante, e ben cullato, pisolino.

Da "Il lago di Massaciuccoli e le terre umide", testi di Arturo Lini, fotografie di Amerigo Pelosini, Caleidoscopio editore, Massarosa (LU), 2008. Vietata ogni riproduzione, distribuzione o altro uso dell'intero testo o sue parti, salvo il diritto di citazione.