Torre del Lago Puccini

«Gli abitanti di Torre del Lago sono detti confinanti. Nella parte remota della Repubblica Lucchese, verso gli acquitrini e il mare, un sentiero pedonale, detto Cordone, trenta passi a nord dell'attuale canale Bufalina, andava dritto come un nastro dal Mare Toscano fino al Lago di  Maciuccoli. Sin dal 1500 segnava il confine colla Signoria dei Medici e poi col Granducato di Toscana. Il luogo circostante era quanto mai favorevole ad accogliere malfattori, fuggiaschi politici, anacoreti, spiriti libertari e quanti altri vittime della malasorte tentavano sottrarsi alla lunga mano dell'autorità; essi si costruirono provvisorie capanne con frasche  e falasco, coltivarono le terre che emergevano dagli acquitrini dando inizio a una primordiale comunità agricola pastorale; e subito vi prevalsero i pescatori di pesce lacustre e i cacciatori.
Un posto strategico, dunque, per sottrarsi alla ricerca della legge dell'uno e dell'altro stato; bastava sconfinare nella folta macchia del territorio pisano popolato da branchi di cinghiali o celarsi in terra lucchese nel dedalo dei fossi, tra ciuffi di cannelle, di falaschi, di biodoli, negli intrichi degli ontani del padule. Un confine trascurato e lontano, tanto che il tribunale della Repubblica di Lucca condannava a vivervi malviventi e indesiderati.
»

 

Così il pittore Serafino Beconi (1925-1997) ricostruisce l'originario formarsi della sua comunità nelle pagine introduttive di Torre del Lago al tempo che visse Ferruccio di Deo, raccolta di suoi scritti e memorie pubblicata nel 2001 dalla Circoscrizione della cittadina versiliese e dedicati alla vita del pittore torrelaghese Ferruccio Orlandi (1897-1975).

 

Le più comuni notizie sulle prime costruzioni in questo luogo sorte ci rimandano al  secolo XV quando qui sorge una torre, Guinigi in origine e poi, nel corso del tempo, mutata di nome in "torre del Turco" perchè passata in proprietà alla famiglia Turchi. La volle il governo lucchese, segno e monito di legalità e della presenza di una legge che regolasse anche qui rapporti e sodalizi umani.

Vicino alla torre viene poi costruita una chiesetta durante il XVI secolo, le cui funzioni andavano a sostituire quella del vicino paese di Massaciuccoli, sull'altra sponda del lago, che fino a quel momento aveva svolto il ruolo di parrocchia per questa ridottissima comunità. Verrà poi sostituita dalla più ampia chiesa di S. Giuseppe, ultimata nell'anno 1776 e sorta lontano da questa precedente, a simboleggiare nuove geometrie sociali e urbanistiche.

 

«LAGO (TORRE DI) nella marina di Viareggio. Contrada con nuova chiesa parrocchiale (S. Giuseppe) nel pievanato di Massaciuccoli, Comunità Giurisdizione e circa 3 miglia toscane a scirocco di Viareggio, Diocesi e Ducato di Lucca. Questa contrada ha preso il nome della torre posta sul lembo occidentale del Lago di Massaciuccoli, poco lungi dalla quale sulla strada R. di Viareggio alla fine del secolo XVIII fu edificata una chiesa, che tuttora si appella la Chiesa nuova, e tosto dichiarata parrocchia per comodo delle circostanti abitazioni. La parrocchia di S. Giuseppe alla Torre di Lago nel 1832 contava 694 abitanti.»

Così la descrive Emanuele Repetti nel suo Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, del quale già ampiamente abbiamo trattato in queste pagine.

 

Origine dunque del nome che ancora segna questo luogo, è quella torre, di lago o al lago come scrive il Repetti, a cui fu in seguito aggiunto quello del suo più illustre abitante che se non figlio, perchè nato nella vicina Lucca, pure qui sembrò trovare l'anima propria sposandola in tanti capolavori musicali di cui eternamente l'umanità sarà grata.

 

Nel 1891, a Torre del Lago, era infatti giunto da Lucca, dove era nato nel 1858, Giacomo Puccini, ancora in cerca di quel pieno successo che da lì a pochi anni avrebbe cominciato a seguirlo, con fedeltà e generosità. Fino ad allora la vita del borgo si era svolta secondo i dettami che poi regolavano quella di ogni altro luogo: cioè in condiscendenza dell'ambiente che l'ospitava che qui significava impiegarsi nelle attività e nei lavori favoriti dalla presenza del lago, della macchia, e dei terreni intorno da coltivare. A questi primi impieghi vennero poi nel corso del tempo ad aggiungersene altri: quelli stimolati dai traffici e dai commerci tra Lucca, la marina versiliese, e Pisa, luoghi tra i quali si posava Torre del Lago.

Che voleva dire essere contadini e braccianti, cacciatori e pescatori, saper lavorare le erbe e le piante di padule, impiegarsi nel commercio di pine e pinoli, fare il taglialegna o il carbonaio o il macchiaiolo - che qui ancora indicava chi s'accudiva nella manutenzione della macchia - impiegarsi al trasporto di persone e merci lungo le acque del lago, appararsi a qualche commercio che tenesse conto di quei viaggiatori di passaggio lungo il territorio: la nuova Aurelia s'avanzava tra il territorio del governo fiorentino e quello lucchese che da qui la continuò fino al porto di Viareggio. Almeno fino al 1847, anno in cui il Ducato fu annesso al Granducato di Toscana.

 

Col tempo alle prime capanne fatte di materiali poveri e deperibili, prime rudimentali abitazioni sorte tra le sponde, ordinate in una semplice struttura quadrangolare, venivano ad affiancarsi quelle più solide, ancora riparate dal falasco che scendeva dal puntone centrale ma irrobustite dai tronchi d'albero della macchia che ne formavano la struttura; fino alle prime casette in muratura, sorte poi più numerose durante il XVIII secolo.

Pietre e mattoni che generalmente si strutturavano intorno due stanze alle quali il colore dell'intonaco conferiva una qualche nota d'originalità: una a piano terra per mangiare e l'altra al piano superiore per dormire. S'affiancavano pure più ampie costruzioni, costituite di un maggior numero di stanze, segno d'una condizione economica più favorevole o di un più alto grado sociale.

Fino alla lussuose dimore qui costruite: Villa Orlando, sorta nel 1869 su progetto dell'ingegnere fiorentino Gino Patcho che disegnò, sulle sponde del lago, un solido ambiente in stile neogotico, e Villa Fanny sorta sullo stesso viale dove sorge villa Puccini.

 

Ambienti, nei loro corredi di dependance e giardini, che mostravano, anche aldilà del semplice progetto di strutture funzionali a tale pratica, l'amore o la passione per la caccia che ne aveva ispirato e guidato la costruzione. E che spesso si fondevano in un fecondo sodalizio con un altro mondo, quello dell'arte, dal cui connubio nascevano soluzioni architettoniche e decorative gustose e originali.

 

Di questo carattere e predisposizione del luogo a un idillio tra caccia e arte ne era simbolo e testimonianza il cenacolo di Paolo Triscornia. Proprietario di cave e laboratori per la lavorazione del marmo aveva residenza a Carrara ma sulle rive del lago veniva spesso in particolare nella bella stagione. Qui possedeva una casa che attraverso un pontile steso proprio davanti a quella s'allungava nel lago per continuare in un chiosco, prima in legno e falasco e poi mutato nel 1922 in una più solida struttura in cemento.


Appassionato di caccia e amico di imprenditori d'arte e artisti era solito invitarli a questo luogo sospeso tra acqua e il cielo. Ne rimangono alcune foto: volti e personaggi fissati intorno e all'interno dell'originario gazebo, protetto dall'esterno da una cerchia di veli che dai bordi del tetto scendevano, mossi dal vento, fino al pavimento in legno.

Numerose sono le testimonianze artistiche di quegli incontri, racchiuse nelle pagine di un diario che dall'estate del 1907 ne seguiva e scandiva il corso fino al febbraio 1931. Vediamo così i disegni e le caricature che spesso Viani faceva degli amici ospiti: di Domenico Rambelli, di Alberto Magri, di Moses Levy. Appaiono le firme di Nomellini, di Carrà, di Luigi Campolonghi, di Leonardo Bistolfi, di Arturo Dazzi, di diplomatici e ospiti stranieri.
Come un angolo di Belle epoque che qui su queste rive si fosse fermata, impigliata tra melodie e suggestioni alle quali per accedervi bastava percorrere il piccolo portale di legno, come un percorso magico capace di condurre in un tempo lontano e diverso.
 

L'attuale chiesa dedicata a S. Giuseppe - venuta a rimpiazzare, come dicevamo, una più piccola  precedentemente sorta in prossimità del lago - verrà ultimata nel 1776, proprio all'incrocio tra l'attuale via Aurelia e viale Puccini. Sarà poi ampliata nel 1878. Affrescata sulla facciata e all'interno dal pittore torrelaghese Lanfranco Orlandi (1931-2007) presenta sul lato di viale Puccini un prezioso bassorilievo, inaugurato nel 1983, in terracotta policroma opera di Serafino Beconi e ispirato ad un fatto avvenuto nel giugno 1944: l'uccisione di due giovani torrelaghesi fucilati dalle truppe tedesche.

 

Puccini a Torre del Lago viene ad abitare tre semplici stanze al piano superiore di una vecchia casa-torre posta sulle sponde del lago, in affitto presso Venanzio Barzuglia, guardiacaccia alle dipendenze di don Carlo Borbone. Dopo il successo di Manon Lescaut (1893) e della Bohème (1896) Puccini, che nel frattempo si era trasferito di pochi metri presso una più moderna abitazione, acquistò quella prima casa dove aveva vissuto, cominciandone una profonda ristrutturazione - in pratica rimasero solo le fondamenta - che comprese anche l'interramento di una parte della riva del lago prospicente la casa, su permesso del marchese Carlo Ginori-Lisci che era il proprietario di quelle acque, per realizzare il giardino nel quale sarebbe corsa la strada fin davanti casa.

Alla realizzazione della nuova abitazione concorreranno anche gli amici pittori, Nomellini, De Servi, Pagni, Edoardo De Albertis e Galileo Chini. Col tempo sortirà all'elegante palazzina che oggi, proprio sulle sponde di Torre del Lago, ospita il museo a lui e alla sua musica dedicato.

 

Qui aveva incontrato alcuni pittori che dal disabitato paesaggio lacustre - allora poche rade costruzioni interrompevano lo scenario naturale di quelle acque e rive - traevano soggetti e motivi di ispirazione, fondando con quelli un allegro sodalizio al quale si aggiungeranno negli anni successivi altri artisti.

Fino alla formazione di quel Club della Boheme, che aveva per sede e luogo di ritrovo una capanna di legno situata nelle vicinanze dell'abitazione di Puccini, con il tetto di falasco e già proprietà di un certo Gragnani poi emigrato in Brasile in cerca di fortuna. Capitanato dallo stesso Puccini il gruppo, nelle sue risoluzioni ed esiti umani e pittorici, è capitolo  ampiamente trattato, almeno in questi ultimi tempi, nella più ampia analisi di un'arte figurativa toscana tra Ottocento e Novecento.

 

Oltre il Maestro ne facevano parte, secondo una lapide, posta sulla facciata di una villetta in Torre del Lago, già proprietà del Tommasi e adibita a suo studio: Ferruccio Pagni (1866-1935), approdato a Torre del Lago nel 1890 a soli 24 anni, che tanta parte aveva avuto nel convincere l'amico Puccini, durante un suo soggiorno estivo, a stabilirsi definitivamente da queste parti. E inoltre Francesco Fanelli (1863-1924), Angelo Tommasi (1858-1923), Raffaello Gambogi (1874-1943) e Plinio Nomellini (1866-1943). La lapide era stata qui posta nell'aprile del 1927 dopo la morte del Tommasi avvenuta nel 1923.

 

Altri artisti poi, occasionalmente o per periodi e motivi diversi, avrebbero frequentato quel cenacolo sorto intorno alle genialità e fortune musicali del Maestro. Come Lodovico Tommasi (1886-1941), fratello minore di Angelo, Galileo Chini (1873-1956) chiamato e venuto alle suggestive sceneggiature della Turandot dopo un suo lungo soggiorno nel Siam; Luigi De Servi (1863-1945), lucchese come il musicista, di cui nel 1903 eseguì un puntiglioso ritratto oggi conservato nel palazzo comunale di Lucca, e lo stesso Lorenzo Viani (1882-1936) introdotto nella cerchia, allora giovanissimo, da Plinio Nomellini una volta ottenuto dalla Giunta comunale di Viareggio il sussidio per l'abbonamento ferroviario Viareggio - Torre del Lago. Qui prese in affitto una sofffitta d'una casa davanti a quella di Puccini adibendola e attrezzandola a studio che caparbiamente frequenterà fin quando Nomellini si trasferirà a Lido di Camaiore.

 

Così, invece, contiamo e vediamo lo stesso gruppo nella descrizione che ne fa Ferruccio Pagni in Giacomo Puccini intimo nei ricordi di due amici, scritto insieme a Guido Marotti ed edito per la Vallecchi di Firenze nel 1926:
«..Puccini Giacomo, protagonista, detto "l'omo palla", lucchese, smoccolatore, cacciatore tremendo, sognatore... campione torrelaghese di "briscola" e "mora", fumatore di sigarette e pipa, a seconda del vento: bohèmien irriducibile anche da milionario.»   «..Tommasi Angiolino, detto "Angiolino" per eccellenza, livornese, pittore paesista, onesto nell'arte come nella vita..» « Tommasi Ludovico, fratello del primo, livornese come lui, anch'egli pittore-musico-violinista, innamorato galante, magro come un uscio..» «..Fanelli Francesco: "Cecco" detto, con rabbia sua, "Pateta", senese di nascita, livornese d'elezione, pittore a tendenza..aulica "Macchiaiolo-impressionista"..» «..Pagni Ferruccio, detto "mi strafotto", livornese - "livornesissimo" - pittore..ricco come Creso (una lira e cinquanta!) mattacchione arci smoccolatore immaginifico, mangiatore senza fondo, soprannominato "denti di ghisa" ovvero "cava del lesso" sfaticato, cacciatore a tempo..perso..» «..Gambogi Raffaello, pittore coniugato con la Finlandia: moglie - pittrice distintissima - paesista migliore di lui..» «..attorno a noi primi sette che formavamo il gruppo centrale, che eravamo un poco i personaggi principali, si aggiravano gli atri. E tutti contornava a sua volta un alone di amici e conoscenti che non abitavano a Torre, ma che ci venivano via via per una "tela" alle folaghe o per altre faccende. E sostavano, manco a dirlo, alla capanna..per una colazione o per un ponce..»

 

Manca in queste note ora riportate qualsiasi riferimento ad un'altra figura che con la propria arte s'incrociò alla vita di Puccini pure in periodo successivo alla formazione del Club della Boheme, già tramontato quel sodalizio d'amicizia e gioventù: Lina Rosso (1888-1975) artista veneziana dalla sensibile ma robusta composizione pittorica, che Puccini conobbe nel 1918 durante una visita al suo studio di Viareggio, là condotto dal pittore Edoardo Gelli, e frequentò in un'amicizia che l'accompagnò lungo tutta la sua vita.

 

Era dunque questa una colonia di pittori discendenti e ispirati dalle poetiche macchiaiole, poi rielaborate in melodiose stesure, apprese dal loro maestro Fattori, presso la Scuola d'Arte di Firenze che tutti avevano frequentato. Con il loro seguito di amicizie e sogni, la loro presenza aveva naturalmente toccato anche la vicina Viareggio, dove Puccini spesso si recava, magari ad un tavolo di qualche locale dove ci racconta di averlo visto Mario Tobino, tornando nella memoria alla sua prima gioventù:

 

«..a Viareggio si aveva per Puccini ammirazione e insieme era considerato quasi di casa. Anche al Margherita, il gran caffè sulla passeggiata, vidi più volte Puccini. Se ne stava seduto sotto il portichetto di sinistra e intorno a lui aveva proprio quei pittori di Torre del Lago...Tra quei pittori io sapevo individuare solo Pagni, Ferruccio Pagni: un mio amico me lo aveva indicato... gli altri dovevano essere il Nomellini, il Fanelli oppure Angiolino Tommasi.. Notai anche con un certo stupore che quei pittori lo trattavano da pari a pari, in confidenza non mi sembrava che avessero per lui il dovuto rispetto..»

 

Oltre questa testimonianza, rilasciata da Mario Tobino in Puccini e i pittori (Museo Teatrale della Scala e Istituto di Studi Pucciniani, Milano, 1982), ne abbiamo un'altra sempre dello scrittore viareggino tratta da Sulla spiaggia e di là dal molo (Mondadori, 1966) dove così dipinge il Maestro seduto ai tavoli del famoso locale.

«Sotto la pensilina di destra, tinta come tutto il resto di grigio, si vedeva in certi dopopranzi, in un suo angolo, Giacomo Puccini. [...] Stava seduto con rilassatezza, uno che è stanco, il suo occhio velato non guardava propriamente nulla. I monti laggiù facevano due groppe brune nel cielo, c'erano davanti le linee tenui dell'Hotel Russie, ma non destavano la sua attenzione. [...] In quell'angolo del Margherita lo vidi sempre con simile espressione come quel luogo fosse da lui scelto quando era vinto dalla sconsolatezza e lì potesse, in un sonnolento rifugio, lentamente riaversi. Altre volte lo vidi invece ilare, il sorriso in procinto, come chi è sicuro che tutto avrà presto esito felice. Se ne stava seduto nella parte posteriore di un'automobile scoperta, l'autista lentamente lo trasportava per le strade di Viareggio.»

 

Puccini lasciò l'amata dimora nel 1921, alla fine di un lungo idillio con l'intero ambiente, segnato da euforie creative e umane ma anche delusioni e tristezze, com'è proprio di ogni uomo, e da un tragico avvenimento: il suicidio della giovanissima cameriera Doria Manfredi nel gennaio 1909, la cui ombra s'allunga fino a noi, come testimonia Elegia Provinciale il libro di Giancarlo Micheli recentemente pubblicato da Mauro Baroni editore, (Viareggio, 2007) e La fanciulla del Lago, film di Paolo Benvenuti proprio quest'anno girato nella cittadina versiliese e presentato alla 65esima Mostra di Arte Cinematografica di Venezia; eventi entrambi dedicati a questo avvenimento.

 

Fu indirizzato se non costretto a questa separazione dall'apparire, anzi dall'irrompere, nel paesaggio ambientale e in quello sociale d'una nuova realtà che l'allora nascente società industriale covava e partoriva nelle proprie logiche e viscere: la fabbrica, che qui prese le sembianze d'una centrale per la rigassificazione della torba: un impianto di trasformazione gestito dalla Società Torbiere d'Italia, all'uopo fondata nel dicembre 1918, con lo scopo di usare la torba grezza - alla cui estrazione già avevano provveduto altre torbiere precedentemente sorte sul territorio e la cui utilizzazione terminato il periodo bellico aveva subito un sensibile calo - come elemento primo per arrivare poi, attraverso la sua rigassificazione, alla produzione di energia elettrica destinata alle Ferrovie dello Stato. 

 

La sua apertura produsse naturalmente un forte sommovimento non solo nel paesaggio ambientale, ora dominato da due imponenti torri alte più di ottanta metri - alle quali si è ispirato il pittore viareggino Uberto Bonetti (Viareggio 1909–1993) in un sua giovanile aeropittura Volo veloce sul lago di Massaciuccoli - ma nell'intera vita della comunità paesana.

Giungevano da altre zone e regioni d'Italia tecnici e maestranze; il paese s'ampliava di nuove costruzioni, s'aprivano officine, nuovi negozi, edifici commerciali; viene prolungata la strada carrabile fino alla spiaggia. Si apre un centro sociale al cui interno era attiva una biblioteca e uno spazio teatrale. La millenaria società agricola in poco tempo trasvolò alla nuova realtà operaia: le idee rivoluzionarie e socialiste s'avanzavano favorite dalla concentrazione proletaria, s'agitavano e concretizzavano in alcune giornate di sciopero promosse dalle organizzazioni sindacali.

 

Puccini andò a vivere a Viareggio, nel quartiere Marco Polo. Fino al 1924 anno della sua morte per una malattia in gran parte dovuta al suo vizio del fumo, "fumatore di sigarette e pipa" come l'avrebbe poi descritto Ferruccio Pagni nei suoi ricordi.  Dopo la sua morte fu costruita, all'interno della villa di Torre del Lago, la cappella, dove il 29 novembre 1926 fu trasportata la salma di Puccini. Successivamente vi trovarono sepoltura i familiari: la moglie Elvira e il figlio Antonio.

La cappella, opera dell'ingegniere Vincenzo Pilotti e di Adolfo De Carolis, contiene sculture di Antonio Maraini: "La musica che piange il maestro", e sulla parete opposta il sedile in marmo "La musica che sopravvive al maestro". Le vetrate sono di Adolfo de Carolis. Il 28 dicembre 1924 fu posta sul muro a Nord, di fronte alla strada, una lapide: “Il popolo di Torre del Lago pose questa pietra / a termine di devozione / nella casa ove ebbero nascimento / le innumerevoli creature di sogno / che  / GIACOMO PUCCINI / trasse dal suo spirito immortale.” 
La moderna torbiera, che pure concentrava gran parte della quantità di torna allora estratta in Italia, ebbe una vita di pochi anni, rimase attiva fino al 1927. Poi il governo fascista decise di smantellarla. Rimasero alcuni tecnici e gruppi di operai impiegati nell'opera di recupero di materiali e apparecchiature, finché solo rimase una cava di mattoni usati.

 

Il 24 agosto 1930, in un teatro costruito per l'occasione con il palcoscenico sorretto da palafitte infisse nel lago di fronte alla villa del Maestro, il "Carro di Tespi Lirico", una compagnia d'opera itinerante, rappresentò La Bohème per la regia di Giovacchino Forzano con Rosetta Pampanini, Margherita Carosio, Angelo Minghetti e Luigi Montesano diretti da Pietro Mascagni.

Era la prima di una serie di rappresentazioni che succedutesi negli anni avrebbero  condotto alla realizzazione nel 1966 di un teatro all'aperto sopra di un terreno bonificato, a lato del porticciolo. Qui è rimasto, nello sfondo suggestivo del lago e del cielo di Massaciuccoli, scenario naturale agli allestimenti che ogni anno si alternavano sul palcoscenico. Fino alla progettazione e costruzione di un più ampio "gran teatro all'aperto" che proprio quest'anno, 2008, s'inaugura sul piazzale delle Torbiere, di lato e a nord del precedente del quale amplia lo spazio.

 

Chi sa cosa avrebbe pensato lo stesso Puccini di questa struttura deputata alla sua celebrazione. Innamorato della natura incontaminata pensò, nel dicembre 1898, con i primi guadagni seguiti al successo di Manon e Boheme, di comperasi una villa a Chiatri, già proprietà dei Samminiati. Basta andare a Chiatri oggi ed osservarla nel paesaggio intorno e immaginare il luogo allora quando per arrivarvi non c'era nessuna strada carrozzabile, per comprendere e avvicinare l'animo di un uomo che all'apparire del successo - per tanti versi agognato - decide di fare vela verso questo solitario angolo di cielo e mondo, dove immaginava, o sentiva, di poter meglio incontrare l'anima sua propria.

Anche se poi abiterà ben poco tempo questo eremo; forse trattenuto dalla bellezza della nuova abitazione di Torre del Lago, forse pressato dalla famiglia e dal circolo di amici ostili al luogo a loro silenzioso, forse dalle regole di una vita sociale che più non gli permetteva la desiderata solitudine. 

 

Nell'ottobre 1910 così scriverà alla moglie Elvira: «Ho speso un occhio per una pazza idea: Chiatri - avessi almeno da te o da Fosca sentito dire: è vero che è scomoda e ti costa tanto, ma là saremo felici, ci verremo, tu ci lavorerai tranquillo. Mai una parola d'incoraggiamento, mai una gentilezza! Ho finito per la sovrana legge dell'insistenza a pigliare in odio Chiatri, che pure quando lo comprai e cominciai i lavori mi era così simpatico! Tutto questo per voi altri che mai l'avete avuto una parola gentile espresso una simpatia fosse pure ispirata a buon volere rispetto a me al mio lavoro che lassù avrei potuto compiere».

La storia di Torre del Lago continuerà poi per altri importanti capitoli. Nel 1929 viene aperto un idroscalo dalla società S.I.T.A.R le cui strutture sono ospitate all'interno del più grande complesso delle torbiere, ora in disuso. Dallo chalet Emilio - una piattaforma in legno prospiciente villa Puccini realizzata nella seconda metà del XIX secolo come punto di imbarco e poi trasformata in una terrazza ristorante che nel corso del tempo sarà convertita in una struttura in muratura - a cui si accede attraverso un ponticello si è traghettati al  vicino moletto dell'idroscalo. Si effettuano voli turistici sul paesaggio intorno, sulle colline come sul litorale versiliese.

 

Sarà quindi l'aeronautica militare ad usare lo spazio d'acqua del lago: sorgono uffici, hangar, strutture logistiche sempre all'interno dello spazio precedentemente usato per la trasformazione della torba. Fino all'arrivo nel gennaio 1932 di due giganti dell'aviazione italiana, i DO.X. che rimarranno qui fino al 1935.
All'inizio degli anni Quaranta l'idroscalo è potenziato nelle sue strutture militari che rimangono attive per tutto il periodo bellico.
Anche negli agli anni immediatamente successivi alla fine della guerra perdurò una certa attività dell'idroscalo usato per trasporti di merci e passeggeri in un'attività che andrà via via riducendosi fino alla completa cessazione negli anni Cinquanta.

Negli anni Sessanta Torre del Lago Puccini imboccherà la strada sua propria: da centro rurale, e per un breve periodo realtà industriale, troverà nell'offerta turistica la voce più consona al proprio passato, fatto di artisti e terre leggendarie, e al proprio presente tra le spiagge e le acque del mare Tirreno e quelle del lago; nell'aria profumata delle pinete, o in quella più silenziosa e densa dei suoi canali e paesaggi lacustri.
 

Testo di Arturo Lini tratto da Il lago di Massaciuccoli e le terre umide, Caleidoscopio, Massarosa (LU), 2008.